giovedì 9 gennaio 2014

PER USCIRE DALLA CRISI RIAPPROPRIAMOCI DELLA NOSTRA TRADIZIONE CULTURALE, intervento sull'arte figurativa di Miriam Pastorino al Convegno "Azione contro Inerzia"

A ben guardare si tratta di un’ottima chiave di lettura per comprendere la grande confusione e tutte le contraddizioni proprie del momento storico che stiamo vivendo, e che considerato sotto questa luce si presenta come il futuro che qualcuno ci ha apparecchiato ormai tanto tempo fa. Oggi siamo qui a parlare nell’ambito di un convegno che si propone scopi pratici e tra essi, il più urgente, è senza dubbio quello di creare nuovi posti di lavoro. Ed è proprio a queste finalità che ci atterremo anche se è di arte che stiamo parlando. Purtroppo con il rischio di non venire capiti. Quante volte ci è capitato di sentire persone  affermare che “con l’arte non si mangia”? Sono persone superficiali,  e direi anche  socialmente pericolose  quando si trovano ad occupare cariche importanti. Perché l’Italia, per secoli e secoli, è vissuta ed ha prosperato proprio sul suo primato culturale. In altre parole, sulla forza del suo Pensiero che diventava  modello di riferimento quando si trasferiva nell’arte. Grazie alla pluralità delle Corti, concepite come centri propulsivi di cultura e strutturate come autentici vivai per pittori, scultori e architetti, volutamente lanciati in situazioni creative di intensa e costruttiva competizione, si riusciva sempre a raggiungere l’eccellenza in pressoché  tutte le produzioni artistiche, che diventavano immediatamente oggetto di ammirazione e desiderio per i committenti del mondo intero. Tutto ciò con straordinarie ricadute sul resto dell’economia. Riflessi che sono durati ben oltre il sopraggiungere del declino. So bene che è inutile piangere sul latte versato, ma riflettendo sull'eccezionale dinamismo delle Corti del passato, viene una profonda amarezza pensando alla grande occasione che abbiamo perduto: allorquando, per decenni, gli enti locali hanno avuto a disposizione ingenti somme da destinare alla cultura. Quali mete si sarebbero potute raggiungere se certi assessorati, anziché finanziare ogni genere di manifestazioni di corto respiro, con il principale se non unico scopo di compiacere il presenzialismo di molti e la vanità di qualcuno, si fossero proposti, ad imitazione delle corti, come dei centri attivi per il rinnovo dell’alta tradizione della nostra arte? Ma ora dobbiamo guardare avanti. Per uscire da una situazione di stallo che troppo ci penalizza, la prima cosa che dobbiamo fare  è superare i luoghi comuni secondo i quali a contare veramente sono solo due tipi di arte: L’arte del passato, vista come volano per il turismo; l’arte che passa dai circuiti gestiti dalle gallerie. Un genere di arte che i galleristi stessi  provvedono a rendere sterile in funzione dei loro interessi; spesso in collaborazione con altri soggetti come, per esempio, tanti critici che vanno per la maggiore e taluni musei. A mio avviso esiste un solo modo per far sì che l’arte torni ad essere volano per l’economia: restituirle consistenza di cosa viva: agganciarla, come già sta avvenendo in altri Paesi, al Pensiero, quel Pensiero che in Occidente, spinto da una crisi epocale, si è finalmente rimesso in movimento. In seguito potremo trovare occasioni per indagare sulle molteplici cause di uno stato di cose non più sopportabile. Per il momento ci limitiamo ad osservare che in mancanza di un terreno favorevole alla ricerca non c’è stata crescita ma involuzione e appiattimento. Al punto che anche i più quotati artisti italiani – quasi sempre – si pongono e si confondo tra i livelli medio bassi di un qualsiasi paese più o meno emergente. Abbiamo detto che in questa sede vogliamo considerare le potenzialità dell’arte in funzione del rilancio della nostra economia. E allora, la prima riflessione che ci viene in mente è che gli artisti italiani, eredi della più grande tradizione che sia mai esistita al mondo, nulla hanno da guadagnare e tutto da perdere attardandosi, peraltro in una situazione di debolezza ed assoluta marginalità, nella pratica e nella celebrazione di un certo tipo di arte disseminata di equivoci, che per nascondere il suo nulla si serve di provocazioni e dissacrazioni che pur volendo essere estreme e spettacolari rivelano la loro consistenza di muffa. Per rendere meglio
l’idea della babilonia di cui stiamo parlando mi servirò di questo primo nucleo di immagini. Quelle che vediamo di seguito sono opere di artisti italiani e









stranieri  più o meno famosi, tutti contemporanei, le cui tele  sono quotate da 800 mila euro per arrivare fino a 50 mila.  Ma, provocatoriamente, tra esse, ne abbiamo inserite qua e là alcune realizzate da  bambini e animali ammaestrati ma dotati, ohibò, di un certo talento. Confesso che neanche io, che pure ho provveduto ad inserirle, sono più in grado di distinguere le une dalle altre. Abbiamo parlato di una condizione di arretratezza che riguarda l’arte italiana nel suo insieme. E ora cerchiamo di spiegare rispetto a quali situazioni, sempre servendoci di immagini. Soprattutto nei paesi anglosassoni il ritorno al figurativo è una realtà ormai consolidata, riconosciuta perfino dall’immancabile mercato. L’America, per lungo tempo patria incontrastata dell’astratto e dell’informale, e probabilmente proprio per questo, è oggi il paese più avanti nell’operazione di recupero dell’arte figurativa. Qui emergono pittori di grande talento, sicuri di sé nell’adeguare i temi ma anche le tecniche dell’attualità ai canoni espressivi della tradizione. Operazione che è tornata ad essere intesa come rappresentazione della realtà esaltata dal talento e dalla tecnica in possesso del singolo artista e mediata dalla sua personale interpretazione (o ispirazione). Tutte queste opere meriterebbero un’attenzione maggiore, ma per brevità di tempo mi limito a ricordare il nome dell’autrice dell'opera che vediamo qui. Si chiama Andrea Kowch, possiede un eccellente talento visionario pur attenendosi a canoni realistici ed ha meno di trent’anni. Quello che segue è un quadro di Lucian Freud, il famosissimo ritrattista di regine e top model morto due anni fa. I suoi dipinti hanno raggiunto le più alte quotazioni oggi esistenti sul mercato mondiale. E questo, per chi dà molta importanza all’aspetto venale, vorrà dire pure qualcosa. Cito il celebre Balthus, non anglosassone ma parigino di nascita e deceduto una decina di anni fa: ho voluto inserirlo perché, nell’epoca in cui gli altri pittori si buttavano nelle più spericolate sperimentazioni, lui ha dipinto rifacendosi ai pittori  italiani del Primo Quattrocento e chiudo con Christophe Charbonnel giovane scultore francese di grandissimo talento.
Dipinto dell'americana Andrea Kowch


Dipinto di Lucien Freud
Dipinto di Balthu

Christophe Charbonnel 
Naturalmente esiste anche un figurativo italiano ed è interessante scoprire in quale condizione si trovi a causa dell’isolamento prodotto dalla mancanza d’un terreno favorevole alla ricerca e al confronto e della quasi totale mancanza di accettazione da parte della critica più influente. Necessariamente per sommi capi, abbiamo provato ad esplorare questo mondo, sia a livello nazionale che locale. Ecco l’immagine dello stato dell’arte che abbiamo potuto fin qui osservare. In primo luogo ci sono gli artisti figurativi che, grazie all’attenzione di qualche critico, sono riusciti ad ottenere una certa notorietà a livello nazionale con la conseguente conquista di una committenza e buone valutazioni sul mercato. Come si può notare osservando le loro opere si tratta quasi sempre di pittori piuttosto bravi che però rivelano una cronica mancanza di sicurezza che li porta al conformismo tipico di chi vuol essere comunque accettato. La maggior parte di essi sembra quasi volersi far perdonare il fatto di essere dei figurativi e allora indugiano nella ricerca dei temi tanto cari alla critica ufficiale. Lo fanno scandagliando i meandri della psiche umana, naturalmente torbidi e tendenti al bestiale, oppure esaltando, con il pretesto di denunciarlo, il grande vuoto cerebrale dell’uomo occidentale che dopotutto corrisponde al traguardo finale che si era posto un certo tipo di pensiero. Queste teste senza occhi come questi corpi privi di testa sono sicuramente inquietanti e significativi ma rappresentano la volontà di voler rimanere fermi, con i piedi piantati nel secolo scorso. Una condizione che mai permetterà di esprimere qualcosa di vitale e di esaltante pur partendo dall’antico per quanto attiene la tecnica. 













Poi ci sono i pittori figurativi locali, quelli che qui ci interessano. Al momento lo stato delle nostre conoscenze è ancora limitato, basandosi su alcune iniziative precedenti e sull’indagine che abbiamo condotto nel corso di questi ultimi mesi.  Proviamo a focalizzare tre situazioni tipiche, tutte interessanti a modo loro. Ci sono i pittori nati figurativi che hanno proceduto su questa strada senza farsi influenzare né dalle critiche né dalle mode ed hanno finito per trovare una loro committenza. Tra essi meritano di essere ricordati la raffinata Elisabet Cyran e il poliedrico Dionisio di Francescantonio. Poi ci sono gli artisti che potrei definire “dormienti”. Si tratta di pittori figurativi  spesso in possesso di ottima tecnica e di grandi potenzialità espressive che al momento preferiscono dedicare le loro non comuni energie ad altre attività. Per esempio, Vittorio Morandi.  (Miriam Pastorino)

Dipinto di Elisabeth Cyran
Dipinto di Dionisio di Francescantonio
Dipinto di Dionisio di Francescantonio
Dipinto di Dionisio di Francescantonio
Dipinto di Vittorio Morandi